9 de juny del 2014

“Giustizia” (Friedrich Dürrenmatt)

[Tra sottosuolo e sole, 8 giugno 2014]


“La visione: allora accadde qualcosa di strano, in realtà qualcosa di spettrale. D’un tratto capii il consigliere cantonale. Inaspettatamente. La comprensione mi colse di sorpresa. All’improvviso indovinai il motivo del suo comportamento. Lo avvertii dai mobili costosi, dai libri, dal tavolo da biliardo. Lo percepii dal legame tra la logica più rigorosa e il gioco, che aveva segnato quell’ambiente. Ero penetrato nella sua tana, e ora vedevo chiaro. Kohler aveva ucciso non perché era un giocatore. Non era un giocatore d’azzardo. Non lo attirava la puntata. Lo attiravano il gioco in sé, il percorso delle palle, il calcolo e l’esecuzione, le possibilità della partita. La fortuna per lui non significava nulla (per questo poteva considerarsi estremamente fortunato, non fingere neppure). Era soltanto fiero del fatto che fosse in suo potere scegliere le condizioni del gioco, seguire lo sviluppo di una necessità che aveva creato lui stesso – in questo consisteva il suo senso dell’umorismo. Naturalmente non aveva nessun motivo per farlo. Sublime volontà di potenza, forse, il desiderio di giocare non solo con le palle ma anche con gli esseri umani, la tentazione di porsi sullo stesso piano di un Dio. Possibile, ma non importante. Come giurista, devo stare in superficie, non calarmi nella psicologia o addirittura inabissarmi nella filosofia o nella teologia. Con il suo omicidio Kohler aveva vinto un’altra partita, ecco tutto. Ora le cose andavano secondo i suoi piani. Io non ero altro che una delle sue palle da biliardo, che il suo tiro aveva messo in moto. Lui agiva in modo perfettamente logico. Davanti al tribunale non aveva addotto alcun motivo, perché ciò era impossibile.”
(Friedrich Dürrenmatt, “Giustizia”, ed. Garzanti)
Alcuni anni fa abbandonai “La valle del caos” di Friedrich Dürrenmatt, dopo aver letto circa cinquanta pagine. Non mi accade quasi mai di abbandonare un libro e quell’episodio mi scoraggiò dall’eventuale lettura di altre opere di quest’autore, di cui non avevo letto nulla. Qualche giorno fa, però, in una biblioteca, ho scorto alcuni romanzi di Dürrenmatt e, nonostante il pregiudizio dovuto alla precedenza esperienza, mi sono incuriosito e ho deciso di prendere in prestito “Giustizia”. Ho così scoperto che ero stato sfortunato, incappando in “La valle del caos” (che, per inciso, potrebbe anche piacermi, adesso; escludo tuttavia di riaffrontarlo a breve). “Giustizia”è un romanzo giallo “filosofico” (anche se ho qualche timore nell’utilizzare quest’aggettivo) divertente, originale, solo in alcuni tratti un po’ ridondante, ma che si legge tutto d’un fiato.
Il romanzo fu iniziato nel 1957, poi abbandonato dall’autore e riscritto pressoché totalmente quasi trent’anni dopo. Ho scritto che si tratta di un giallo, ma la definizione non è pienamente calzante. A differenza dei classici gialli, infatti, noi sappiamo sin dalla prima pagina chi è l’assassino, cioè il consigliere cantonale Kohler, conosciamo anche la vittima e addirittura il narratore-protagonista, l’avvocato Spät, ci dice subito che ha intenzione di uccidere Kohler, suo ex-cliente e poi suicidarsi. A pagina due, quindi, abbiamo già tutti gli elementi per dichiarare risolto il caso e chiudere il romanzo, e invece no, si resta avvinti alle pagine di Dürrenmatt, sia grazie alle sue digressioni umoristiche e/o sarcastiche, sia perché la vicenda è ricostruita a ritroso, dalla memoria di Spät, in modo da porci domande che esulando dalla narrazione. Il titolo stesso, ad esempio, pone la questione fondamentale: che cos’è la “giustizia” nel suo senso più alto e come quest’ideale così spesso invocato si manifesta nell’agire quotidiano di noi tutti e in particolar modo di chi è preposto a farla funzionare? In questa sede (ma nemmeno in altre) non rispondo a siffatte domande, mi limito a consigliare il romanzo di Dürrenmatt, che a parte qualche eccesso grottesco, nel complesso ci interroga, oltre che sulla parola “giustizia”, su un’altra strettamente legata alla stessa, cioè la “verità”.
La verità processuale è che Kohler ha ammazzato il professor Winter, che al pari dell’assassino e di tante altre eminenti personalità frequentava un rinomato ristorante di Zurigo; l’ha fatto entrando con una pistola in mano, davanti a testimoni. Lo stesso Kohler, del resto, non nega di aver ucciso ma, una volta in carcere, assolda il giovane e squattrinato avvocato Spät per proporgli una sorta di “gioco”, una sfida che all’inizio appare solo come un’indagine scientifica-filosofica: l’avvocato, pur sapendo che Kohler è l’assassino, deve provare a riesaminare il caso partendo dall’ipotesi, assurda, che l’omicida non sia Kohler ma qualcun altro. L’intrigo del romanzo scatta proprio quando l’avvocato accetta, inconsapevole delle conseguenze alle quali sarà portato dalle sue stesse scelte. La realtà che si è concretizzata, l’omicidio, diventa solo una delle possibili realtà, l’assenza dell’arma del delitto e di un movente plausibile rendono difficile spiegare con la razionalità ciò che sembra appartenere al regno dell’irrazionale. I numerosi personaggi collaterali che appaiono nel romanzo hanno quasi tutti personalità ambigue, identità sospette e segreti personali da nascondere. Dürrenmatt, approfittando della storia, lancia frecciate a diverse tipologie umane, con piglio davvero efficace e avvincente, disegnando anche un finale spiazzante.




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