23 de gener del 2014

Così Kriminal e Satanik scandalizzarono l’Italia

[Corriere della sera, 23 gennaio 2014]

Antonio Carioti

La data, agosto 1964

Cinquant'anni dopo, Max Bunker racconta i suoi fumetti neri, disegnati da Magnus e più audaci di Diabolik, che adesso ritornano nelle edicole  


«Diabolik? Chi era costui?». Luciano Secchi, alias Max Bunker, reagisce così quando gli si chiede un confronto tra il più noto malvivente dei fumetti e i «cattivi» da lui creati mezzo secolo fa, quando era appena venticinquenne, nel 1964: Kriminal e Satanik. L’autore milanese va poi su tutte le furie se qualcuno definisce i suoi personaggi «cloni» del più anziano Diabolik, nato nel 1962. «La mia ispirazione viene da Edgar Allan Poe per i suoi racconti e anche per le sue poesie», protesta Secchi.
Gli antieroi forgiati da Bunker insieme al bravissimo disegnatore bolognese Roberto Raviola (alias Magnus, scomparso nel 1996) appartengono al filone del fumetto nero, come Diabolik. Ma la differenza salta agli occhi non appena li si legge. Anche Kriminal, di cui Mondadori Comics sta ristampando le prime avventure, è un delinquente assassino. Ma dietro la sua maschera a forma di teschio ci sono un nome, Anthony Logan, un passato di tragedie familiari, un profilo psicologico tormentato, una biografia che si evolve da un albo all’altro in diverse sottotrame. Invece le storie di Diabolik sono autoconclusive e intercambiabili, prive di sviluppo cronologico. Addirittura Satanik, una donna spietata di nome Marny Bannister, muore per poi risorgere trasformata: «È la regola della vita — nota Secchi — con le tre fasi: nascita, sviluppo, morte. I miei eroi ed eroine hanno un sapore reale, talvolta crudo, ma sono vivi!».
Satanik è una scienziata dal viso deturpato, che un portentoso elisir trasforma in una vamp dai capelli rossi, bella quanto perversa e crudele. Appartiene al genere horror più che al poliziesco. Ma ha anche una spiccata componente erotica: per raggiungere i suoi scopi malvagi, Satanik non esita a concedersi. Del resto anche nelle vicende di Kriminal il sesso non manca: il quinto albo del dicembre 1964, ambientato in un riformatorio femminile, sollevò un putiferio per la disinvoltura delle ragazze protagoniste, spesso ritratte da Magnus in biancheria intima.
Nei primi mesi del 1965 la magistratura di Milano (città sede dell’editoriale Corno, che pubblicava i fumetti di Secchi e Raviola) intervenne con massicci sequestri, avviando un’indagine per pubblicazioni oscene. «I signori del crimine rischiano la gattabuia», titolò «Il Giorno» il 7 aprile 1965. Esagerava, anche se la battaglia contro la censura durò a lungo. «Fui il primo a rompere tanti tabù coi fumetti — ricorda Secchi — e la cosa fu sconcertante per molti cuori teneri. So di avere deluso diverse persone a quei tempi, ma non ho mai rischiato carcerazioni di nessun tipo».
Ai problemi giudiziari si aggiunsero le stroncature della stampa. Enzo Tortora parlò di «sgangherati gorilla del brivido», a base di «sesso, violenza e balbettanti scemenze». Il periodico «Tribuna Illustrata» organizzò nell’ottobre 1966 un «processo ai fumetti neri», terminato con una «condanna senza indulgenza e senza appello», cui parteciparono svariate celebrità: Mina, Alberto Sordi, Omar Sivori. Il pubblico ministero Alberto Sensini lanciò tre accuse: «Oltraggio al buon senso, offesa al buon gusto, alto tradimento». E l’avvocato difensore, Gianni Rodari, pur giudicando quegli albi innocui, fu altrettanto duro: «Sono brutti, stupidi, gonfi di sangue come un tafano ubriaco; sono un losco affare, una trappola per i gonzi, una macchia sull’onorabilità dell’editoria nazionale».
Nonostante questa diffusa ostilità e la dicitura in copertina «fumetti per adulti» (in teoria il rivenditore avrebbe dovuto accertarsi che gli acquirenti fossero maggiorenni), il successo fu enorme: Kriminal arrivò a vendere 300 mila copie, Satanik 200 mila. Dino Buzzati, una delle poche voci equanimi nel processo allestito dalla «Tribuna Illustrata», ammise che li leggeva. «Tecnicamente parlando, non sono male», scrisse, perché hanno il dono «della rapidità e della sintesi», che soddisfa le esigenze del pubblico stufo di «romanzi faticosi», dove «non succede mai niente».
Un altro letterato, Leonardo Sinisgalli, colse l’«umorismo particolare», il gusto del grottesco tipico di Bunker, esaltato dal tratto originale di Magnus. Un connotato che andò perduto nelle trasposizioni cinematografiche di Kriminal e Satanik, su cui Secchi preferisce stendere un velo: «Erano film molto modesti con budget ridotto, prodotti di seconda fascia. Io sono dell’idea che, o si fanno dei film con grossi investimenti come oggi per i supereroi Marvel e Dc Comics, oppure è meglio non farli».
Proprio a Secchi e all’editoriale Corno si deve l’approdo in Italia di Spider-Man e degli altri eroi Marvel, all’inizio degli anni Settanta, in coincidenza con il decollo della più longeva e divertente creazione di Magnus e Bunker: le storie di Alan Ford e della scalcinata agenzia d’investigazione Gruppo Tnt (Mondadori sta riproponendo quelle disegnate da Raviola in un’edizione di pregio). Un fumetto lontano anni luce da Kriminal e Satanik, che cessarono le pubblicazioni poco tempo dopo, nel 1974. Un punto in comune però c’è: l’immagine pessimista di un mondo dominato dal cinismo e dalla sopraffazione, specie nei ceti altolocati. «Io — puntualizza Secchi — descrivo l’umanità come la vedo. Probabilmente non sono capace di captare la sublimità dei comportamenti della nostra classe politica, la sua etica al di sopra di tutto e di qualsiasi interesse. Riconosco che è una mia lacuna». Il sarcasmo non manca mai nelle risposte e nei fumetti di Secchi: «Viene dal mio carattere naturale. Nella mia casa avita c’erano libri di ogni genere e i miei punti di riferimento di lettura furono Oscar Wilde, dal quale imparai come si fanno le sceneggiature, e sir William Shakespeare. Entrambi con un marcato gusto dell’ironia. Sempre Shakespeare sosteneva che il filo che divide il dramma dalla farsa è sottilissimo. Quindi Alan Ford e, dall’altra parte del filo, Kriminal e Satanik».
Il retroterra familiare affiora spesso nei ricordi di Secchi, anche se in materia è piuttosto riservato: «Ho avuto un’infanzia felice e ricca di esperienze positive. Sono nato in una famiglia di poliglotti e l’inglese era la lingua corrente in casa. Così potevo gustare le avventure dell’Uomo Mascherato, di Mandrake e di Little Nemo nella versione originale ». E nessuno lo rimproverava per le ore passate sui fumetti: «Dato che li leggevo in inglese, non solo non venivo redarguito, ma ricevevo un plauso». La sua carriera alla Corno era cominciata appunto come traduttore. Nel 1962 esordì come sceneggiatore di Maschera Nera: un eroe del West simile a Zorro, disegnato da Paolo Piffarerio. Quindi l’incontro con Magnus, che era nato come lui nel 1939: «Conobbi Raviola perché, avendo scritto la prima storia di Kriminal, ero alla ricerca di un disegnatore adatto. Feci un annuncio e, tra i tanti, anche lui mandò dei campioni dei suoi lavori. Tra quelli che avevano risposto, era il più dotato tecnicamente». Nacque così un binomio formidabile, purtroppo terminato nel 1975, che ricorda un po’ quello americano tra il creatore dell’universo Marvel, Stan Lee, e il geniale disegnatore Jack Kirby. Secchi non mostra rimpianti: «Diciamo che tutti i sodalizi, artistici e non, prima o poi si rompono. Così è successo a Battisti-Mogol, così a Jerry Lewis e Dean Martin, quindi ai citati Lee e Kirby. Ci poteva stare anche la separazione tra Magnus e Bunker». Come no. Ma che peccato.


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