28 de novembre del 2013

Letteratura oltre i muri di cinta

[Corriere della Sera, 28 novembre 2013]

Generi Claudia Piñeiro e Maristella Svampa, Carla Castelo e Raúl Argemi: scrittori e registi esplorano il fenomeno dei barrio cerrado

Gabriella Saba


Delitti, orge, disagio: storie dai quartieri blindati dell'Argentina

Nel suo romanzo più famoso, Betibú (Feltrinelli, 2012), la scrittrice argentina Claudia Piñeiro racconta l’indagine sulla morte di un uomo il cui cadavere viene trovato dalla domestica nella sua bella casa, sgozzato e accanto a una bottiglia di whisky vuota. Stessa fine era toccata alla moglie, per la cui morte era stato processato e assolto qualche anno prima, ed è infatti intorno alla somiglianza tra i due delitti che si snoda la storia. Ambientato in un country-clubdal fantasioso nome La Maravillosa, il libro ricostruisce le caratteristiche di quei mondi rarefatti e autosufficienti che sono i veri country (conosciuti oggi anche come barrio cerrado): i settecento complessi esclusivi in cui abitano 288 mila argentini di classe alta, proliferati in tutto il Paese sotto il governo di Carlos Menem e costruiti in genere all’esterno delle grandi città. Micromondi con una decisa vocazione all’isolamento e corredati di quanto serve per garantire un’autarchia dorata: ville firmate (a volte raffinate e a volte kitsch), strutture sportive, scuole e centri commerciali e in qualche caso perfino le chiese. Sofisticati sistemi di controllo garantiscono la sicurezza, muri alti vari metri proteggono dai pericoli e, in generale, dal mondo fuori.
Da quando, alla fine del 2002, María Marta García Belsunce venne ammazzata nella sua casa nel barrio cerrado del Carmel, i country sono diventati un soggetto interessante, oltre che per i sociologi, anche per gli scrittori, a partire da Claudia Piñeiro che, dall’osservatorio del country in cui abita, descrive con ironia un mondo che si muove tra campi di golf e polo, prati costellati di laghetti e regole interne tra il surreale e il paranoico. E lo racconta non solo con lo sguardo di chi ci vive ma anche di chi quei luoghi li guarda da una postazione meno privilegiata: guardiani e domestiche, giardinieri e operai. Tanto che la prima scena di Betibú è proprio la ricostruzione della trafila a cui i lavoratori dei country devono sottoporsi prima di entrare nei complessi, compreso il fatto di mostrare il contenuto delle borse che viene registrato e ricontrollato all’uscita. Mentre in Le vedove del giovedì, ambientato in un barrio cerrado durante la pesantissima crisi economica del 2001, la storia narrata da Claudia Piñeiro parte dall’abitudine di quattro uomini di ritrovarsi il giovedì sera senza mogli né figli. Su questo filo conduttore si innestano gli omicidi che danno all’autrice il destro non solo per sviluppare un noir trascinante, ma anche per tratteggiare vezzi e manie di una società competitiva ed escludente che incassa gli effetti della crisi (alcuni degli uomini perderanno il lavoro) senza capire in realtà quello che succede. Bestseller in Argentina e pubblicato in Italia dal Saggiatore nel 2008, il romanzo è stato riadattato in film, diretto da Marcelo Piñeyro con grande successo di pubblico.
Un altro film sul tema è quello della quarantenne Celina Murga, Una semana solos (Una settimana da soli, 2009), realizzato sotto la supervisione di Martin Scorsese: un gruppo di ragazzini viene affidato per una settimana alle cure di una domestica mentre i genitori sono in vacanza, ma eludono i controlli e vanno in giro a rubacchiare per il country. Sono viziati, belli e arroganti, e non fanno alcun caso ai rimproveri della mucama (la domestica). Quando il fratellino di questa, che è scuro e povero, si unisce a loro, lo sfottono per i suoi modi poco fini. E un trattamento simile toccherà alla guardia che accorrerà alla fine per metterli in riga: una delle ragazze lo riprende sprezzante perché ha sbagliato un verbo, e basta questo per togliere sicurezza all’uomo che si ritira umiliato.
Giudizi morali a parte, i barrio cerrado sono un tema socio-antropologico molto ghiotto su cui sono stati versati fiumi di inchiostro. L’indagine della giornalista e scrittrice Carla Castelo cominciò il giorno in cui conobbe un anziano politico decaduto che, privo di introiti, ricorreva a qualunque espediente pur di non lasciare la sua casa in un famoso country. La Castelo non aveva mai frequentato countryprima, ma da quell’incontro le venne l’idea di descriverne «dall’interno» gli abitanti e riuscì nell’impresa non facile di ottenere entrature in una ventina. Il risultato è Vidas perfectas (Vite perfette, 2007): ritratti di adulti e adolescenti che la giornalista racconta «senza pregiudizi, anche se per me che frequentavo ambienti bohémienne quello era un mondo totalmente alieno».
E infatti il quadro che emerge non è precisamente esemplare, ma non manca, in alcuni casi, di simpatia. «La cosa più evidente è lo scollamento dalla realtà della maggior parte di queste persone, soprattutto delle donne. Se infatti gli uomini devono uscire dal country per andare a lavorare, la maggior parte delle mogli passa la vita chiusa lì dentro a parlare di chirurgia estetica e vestiti firmati e non ha idea di quello che succede fuori. Molte hanno ammesso di annoiarsi a morte, mentre altre dichiarano senza ipocrisia che non saprebbero vivere in altro modo».
Tutt’altro approccio quello della sociologa Maristella Svampa, che ha dedicato al tema decine di libri ed è considerata la maggiore esperta al riguardo. Per la Svampa, la ghettizzazione dei country è la conseguenza (enfatizzata dai governi liberisti) della divisione tra vincenti e perdenti, separati in questo caso da un muro non solo fisico. È proprio leggendo i libri della Svampa che a Celina Murga è venuta l’idea del film. Mentre lo scrittore Raúl Argemí si è ispirato anche lui, per il romanzo Retrato de familia con muerta (Ritratto di famiglia con morta, 2008), all’omicidio della Belsunce: quello che avrebbe, secondo molti, segnato la fine dell’innocenza dei country, simboli fino ad allora di sicurezza e serenità. Per Argemí, però, quel mito non è mai esistito, e infatti è sul contrasto tra l’apparenza idilliaca deibarrio cerrado e il comportamento spregiudicato di alcuni abitanti che si fonda Retrato: romanzo a metà tra il sociale e il noir il cui protagonista è un giudice-detective che indaga sulla uccisione di una donna fino a scoprire che all’origine del crimine c’è un giro di denaro sporco proveniente dal traffico di droga. Morale della favola: da una parte la famiglia unita in cui si cerca protezione finisce per tradire e dall’altra la società si sfascia quando decide di mettere al primo posto il denaro, da ottenere con qualunque mezzo.
Da qualche tempo, la vulnerabilità dei country è d’altronde una realtà con cui convivere. Il numero di assalti e furti si è moltiplicato, e hanno fatto scalpore quelli subiti da molti personaggi famosi delcountry Nordelta, l’esempio più eclatante della nuova generazione dei barrio cerrado: microcittà di 13 mila persone nel delta del fiume Paranà, che ospita naturalmente anche scuole e cinema. Nel Villa Golf della città di Río Cuarto è stata invece strangolata qualche tempo fa Nora Dalmasso, probabilmente durante un’orgia che ha aperto scorci morbosi sulla vita dei country.
«Nei mondi piccoli e chiusi, gli stimoli sono pochi», ha dichiarato a «la Lettura» una psichiatra che vive in uno di quei complessi e che chiede di non essere nominata. «Le passioni sono enfatizzate e si eccede nei comportamenti che smentiscono la teoria benpensante e conservatrice di questi luoghi». Non tanto conservatrice, ultimamente, dato che molti ragazzini si vergognano di dire all’esterno che vivono in uncountry, mentre altri vanno in città di nascosto per vedere un po’ di mondo. Di certo non aiuta la pessima stampa di cui godono i country nel Paese, salvo che per chi ci abita. Il famoso architetto Clorindo Testa, morto qualche mese fa, li aveva addirittura assimilati a un ritorno al Medioevo, però in versione malata.


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