3 de setembre del 2015

Il sangue pesto di un’uniforme

[Il Manifesto, 3 settembre 2015]

Ben Pastor. La ressistenza al nazismo e la denuncia della "soluzione finale" passa per il noir. Un'intervista con la scrittice di origine italiana, autrice di una fortunata serie pubblicata da Sellerio che ha come protagonista un ufficiale della Wehrmacht tedesca.


Guido Caldiron

Mar­tin Bora è un eroe impro­ba­bile. Un detective-soldato che da uffi­ciale dell’intel­li­gence della Wehr­mach, l’Abwehr, indaga su cri­mini ordi­nari men­tre intorno a lui ha luogo il più ter­ri­bile omi­ci­dio di massa della sto­ria d’Europa. Ari­sto­cra­tico, colto, mili­tare per tra­di­zione più che per scelta, nazi­sta rilut­tante all’ascesa al potere di Hitler, si tra­sfor­merà pro­gres­si­va­mente in un oppo­si­tore del regime mano a mano che l’ideologia nazio­nal­so­cia­li­sta man­terrà le sue pro­messe di morte dando il via alla puli­zia etnica e alla «Solu­zione finale» nei ter­ri­tori occu­pati dalle armate tede­sche. Dalla Guerra di Spa­gna, dove dovrà inda­gare sull’assassinio di Fede­rico Gar­cia Lorca com­piuto dalle mili­zie fasci­ste, fino all’arresto da parte delle SS sul finire del 1944 per il sospetto di aver aiu­tato alcuni ebrei ita­liani, Bora ha fin qui con­su­mato in una decina di inchie­ste che accom­pa­gnano la genesi, lo svi­luppo e l’esito della Seconda guerra mon­diale, le sue sorti per­so­nali insieme a quello dell’intero con­ti­nente. Riper­cor­rendo, ma nell’inedita pro­spet­tiva dei canoni del romanzo poli­zie­sco, luo­ghi dive­nuti tri­ste­mente cele­bri per bat­ta­glie e stragi, ha incon­trato per­so­naggi sto­rici real­mente esi­stiti e fatto emer­gere anche le ferite inte­riori che il con­flitto porta ine­vi­ta­bil­mente con sé, fino a defi­nire una sorta di rilet­tura in chiave noir degli eventi bel­lici e delle loro con­se­guenze. Con­trad­dit­to­rio testi­mone delle pagine più tra­gi­che del Nove­cento, sospeso tra gli obbli­ghi pro­pri al «mestiere delle armi» e l’irriducibilità della sua coscienza di uomo, quello creato dalla scrit­trice Ben Pastor, ita­liana da mol­tis­simi anni tra­sfe­ri­tasi negli Stati Uniti, è forse uno dei per­so­naggi più intri­ganti e biz­zarri apparsi nel giallo dell’ultimo decen­nio. Una figura che può susci­tare sen­ti­menti con­tra­stanti, ma che, in ogni caso, non può lasciare indifferenti.
«L’uomo giu­sto nella divisa sba­gliata», que­sta la defi­ni­zione di Mar­tin Bora da lei offerta alcuni anni fa. Per­ché sce­gliere pro­prio un uffi­ciale della Wehr­ma­cht come pro­ta­go­ni­sta di una serie di romanzi gialli?
Ci sono due modi, com­ple­men­tari, per rispon­dere a que­sta domanda. Da un lato, se si guarda al pano­rama della let­te­ra­tura poli­zie­sca inter­na­zio­nale è raro incon­trare per­so­naggi di inve­sti­ga­tori che abbiano una qual­che pecu­lia­rità che li distin­gua gli uni dagli altri: da que­sto punto di vista, la figura di un uffi­ciale tede­sco della Seconda guerra mon­diale può fare la dif­fe­renza. D’altra parte, ed è que­sta la ragione che mi sta più a cuore e che è risul­tata deter­mi­nante quin­dici anni fa quando ho scritto il primo libro con Bora come pro­ta­go­ni­sta, è una sorta di sfida. Volevo creare un per­so­nag­gio che si muo­vesse lungo il con­fine incerto tra obbe­dienza e morale, la cui divisa evo­casse il «male asso­luto» del Nove­cento, ma che potesse incar­nare pro­prio per que­sto anche la pos­si­bi­lità che i sin­goli hanno sem­pre di fare scelte con­tro­cor­renti, fino a met­tere a rischio la pro­pria vita per sal­vare quella degli altri. Mar­tin Bora è infatti un sol­dato tede­sco che, per quanto gli è pos­si­bile, si oppone al nazismo.
Il pro­filo di Bora è ispi­rato espli­ci­ta­mente ad un per­so­nag­gio sto­rico reale, quel Claus von Stauf­fen­berg che fu, insieme al altri uffi­ciali di alto rango, tra i respon­sa­bili del fal­lito atten­tato con­tro Hitler del 20 luglio del 1944. Cosa l’ha col­pita di più nella vicenda di quest’uomo che pagherà con la vita il suo ten­ta­tivo di eli­mi­nare il führer?
Una sorta di para­dosso. Scri­vendo da sem­pre di sol­dati e di temi come la guerra e la vita mili­tare spesso pre­sen­tati come appan­nag­gio di un uni­verso maschile, mi sono infatti resa conto che von Stauf­fen­berg, e ancor di più Bora, hanno molto a che fare con l’idea della «resi­stenza dall’interno» inscritta invece nell’universo fem­mi­nile. In que­sto caso, sono uomini che cer­cano di stra­vol­gere o di far crol­lare dall’interno un sistema oppres­sivo basato sulla vio­lenza e sulla repres­sione, facendo ricorso ad un lavoro paziente e quo­ti­diano, all’arte di minare giorno dopo giorno le basi stesse della dit­ta­tura. Nella realtà sto­rica von Stauf­fen­berg inse­guì anche l’exploit vio­lento, ma non ebbe for­tuna. In nes­sun romanzo Bora pren­derà parte all’attentato con­tro Hitler, sfor­tu­nata testi­mo­nianza della pic­cola oppo­si­zione al nazi­smo che era cre­sciuta fin nei ver­tici dell’esercito tede­sco. Pre­fe­rirà pro­se­guire con dedi­zione l’opera di resi­stenza interna che era stata pro­pria anche di quei con­giu­rati, poi tutti uccisi per ordine di Hitler.
Bora si muove all’interno di un’apparente dico­to­mia tra la fedeltà al suo giu­ra­mento e i richiami della sua coscienza. L’ufficiale indaga su cri­mini a prima vista banali men­tre intorno a lui si cele­bra l’assassinio di massa: l’apparente distanza con l’orrore gli con­sente di denun­ciare l’Olocausto. Di romanzo in romanzo la sua oppo­si­zione al nazi­smo si fa più concreta…
È que­sto il cuore del per­so­nag­gio, il cen­tro della ten­sione morale che lo muove e che si farà sem­pre più lace­rante mano a mano che la guerra e i suoi orrori avan­zano. Volevo descri­vere esat­ta­mente que­sta con­di­zione: una per­sona che ha giu­rato, un sol­dato che ha delle regole a cui atte­nersi e allo stesso tempo però si con­si­dera libero da tali regole quando si pone ad un livello più alto, sul piano della giu­sti­zia e dell’etica. In que­sto senso, Bora è com­bat­tuto, deve misu­rarsi con la neces­sità di disob­be­dire agli ordini e con l’indifferenza o inca­pa­cità di pren­dere una posi­zione costi quel che costi. È un idea­li­sta che paga per­ciò cara ogni sua deci­sione, ma pro­prio per que­sto le sue scelte, in con­tro­ten­denza rispetto all’epoca e alla divisa che indossa, sono più sof­ferte rispetto a chi non si è tro­vato mai a dover deci­dere tra il bene e il male. Allo stesso modo testi­mo­nia il valore di quella cul­tura tede­sca, che era spesso anche ebraica, che la guerra e il nazi­smo sono quasi riu­sciti a can­cel­lare. Bora è un testi­mone di un’alternativa morale che gli eventi resero vana.
In uno dei romanzi della serie di Bora, «Luna bugiarda», lei si defi­ni­sce come una ragazza degli anni Cin­quanta che attra­verso i suoi libri ha pagato per certi versi un debito alle tante domande rima­ste ine­vase legate alla pro­pria sto­ria fami­liare e a quell’Italia del secondo dopo­guerra che sem­brava avere fin troppa fretta di dimen­ti­care le tra­ge­die patite e di cui era stata protagonista.
La mia parte euro­pea, tutto ciò che ho vis­suto prima di tra­sfe­rirmi negli Stati Uniti e ini­ziare un nuovo capi­tolo della mia vita, è ben con­scia di dovere molto a molti: alla mia fami­glia ma anche ai tanti che hanno pagato con la pri­gio­nia e con le loro sof­fe­renze il prezzo della nostra libertà. Mia madre veniva da una fami­glia di ebrei, abbiamo avuto anche un parente ucciso alle Fosse Ardea­tine. Per­ciò è vero che come poche altre gene­ra­zioni in pas­sato, la mia ha dav­vero un grosso debito nei con­fronti di quella che l’ha pre­ce­duta; un debito che non sarà facil­mente pagato, pos­siamo solo illu­derci di poterlo fare.
Quanto alla mia espe­rienza di vita negli Stati Uniti, scrivo ormai da molti anni in inglese e il con­te­sto let­te­ra­rio in cui mi muovo è pro­fon­da­mente anglo­fono. Mi sem­bra di poter affer­mare che gli Stati Uniti sono riu­sciti a venire a patti in maniera molto inte­res­sante con le lace­ra­zioni della guerra. Penso per esem­pio alla Guerra di Seces­sione che per gli ame­ri­cani, mal­grado siano pas­sati oltre 150 anni, è sto­ria di ieri come illu­strato dalle recenti pole­mi­che sull’uso della ban­diera con­fe­de­rata in alcuni stati del vec­chio Sud. Eppure, mal­grado la ferita fu pro­fonda e segnò in modo deter­mi­nante lo svi­luppo del paese, negli Stati Uniti, senza rinun­ciare alle ragioni degli uni e ai torti degli altri, con quella memo­ria si è fatto i conti. Una cosa che non è acca­duta in Europa, e nel nostro paese, a pro­po­sito della Seconda guerra mondiale.
Tra i suoi rife­ri­menti let­te­rari lei cita spesso Sime­non e si ha in effetti l’impressione che, sull’esempio dello scrit­tore belga, nelle inda­gini di Mar­tin Bora, a comin­ciare dalla stessa per­so­na­lità dell’ufficiale-detective, sia soprat­tutto la voglia di descri­vere l’individuo senza maschere, lo sve­lare il mistero della natura umana, il vero giallo che si intende risol­vere. È così?
Non posso che essere lusin­gata da que­sto acco­sta­mento. Con­si­dero infatti Sime­non non solo «il mae­stro» in senso asso­luto, nella let­te­ra­tura poli­zie­sca e non sol­tanto in quella, ma anche un mae­stro dello stile capace di scri­vere romanzi com­plessi dove non c’è nep­pure una sola parola fuori posto. Quello che si ricorda di più di Sime­non è il clima, l’atmosfera, il con­te­sto psi­co­lo­gico in cui il cri­mine ha avuto luogo. Sono le sue brevi frasi che dischiu­dono un mondo al let­tore; un uni­verso a sua volta popo­lato dav­vero di per­so­naggi per così dire nudi per­ché in loro molto poco è velato, nasco­sto allo sguardo dello scrit­tore. Mai­gret è sem­pre descritto come un uomo grosso, quasi ingom­brante, ma è tut­ta­via un uomo che rivela una enorme sen­si­bi­lità. Sem­bre­rebbe quasi non essere la per­sona più adatta per fare il poli­ziotto. E mi chiedo come abbia fatto Sime­non a creare un per­so­nag­gio che sia così solido all’apparenza e allo stesso tempo così fluido e così asso­lu­ta­mente sen­si­bile e capace di cogliere la realtà pro­fonda degli altri. Non vor­rei mai essere inter­ro­gata da Mai­gret, non potrei nascon­der­gli niente.




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